Confini

Da una una lettera dei signori Maccafani:

Lettera del 1761 in cui i peretani chiedono al principe Colonna di mettere fine ad una controversia tra Pereto e Carsoli circa certe zone di Pereto (Montefontecellese) occupate ingiustamente dai carsolani. Il popolo di Pereto fa appello alla sentenza dell’anno 1517 per la esatta determinazione dei confini. Mentre nel 1696 fu emanata una sentenza fra le due università in causa per i confini comuni: anche quella del 1517 era stata fatta fra le due università.

Da un altro scritto della famiglia Maccafani si ricava questa notizia:

Tra Pereto e Carsoli c’erano due strade: una vecchia ed una nuova. La vecchia passando per il culmine di Balle
Lupa per dritto a Colfaroli si ritrovava una pietra con tre Lettere C,P,O, denotante il confine tra Carsoli, Pereto, Oricola.

Una carta rappresentante il territorio di Pereto riporta i confini del comune. Questo si evince dalla descrizione posta in altro a sinistra:

R. Commissario Regionale per gli usi civici di Abruzzo Aquila. Vertenza di confinazione tra i comuni di Carsoli
e Pereto dal trifum “Carsolis Pereto Tagliacozzo” allo inghiottitoio “Chiavica”.
Antica pianta relativa alla sentenza arbitrale del 6 ottobre 1511 del D.re Bernardino de Amicis. Uditore
generale dello stato di Tagliacozzo.

mentre a destra è riportata la scritta

Allegato 1.


Estratto da:

Balla Enrico, Pereto, storia, tradizioni, ambiente, statuti, Roma 1986, pag 168 e seguenti

B – PERETO – CARSOLI


Effettuata la ripartizione tra i quattro paesi, subito sorsero delle contestazioni da parte degli abitanti di Celle in ordine a Fontecellese.
L’uditore dello stato di Tagliacozzo Bernardino De Amicis, incaricato di risolvere la controversia, così si espresse nel 1517; “li confini e li termini tra Celle e Pereto siano questi: dal sasso segnato con una croce posto di là da Monte Romano (sopra la fonte di Fontecellese e ad un Km circa a Nord-Ovest della cima di quota 1620 di M. Fontecellese) fino al colle della Selva Grossa, sotto lo largo di Monte Romano, per diritto a colle Iannetti e per diritto al colle Santa Croce, seguitando per diritto fino al fossato di chiavica, come acqua pende verso Pereto sia delli homini e università di Pereto, da questo in là verso le celle delli homini e università di Celle”.
Questa sentenza venne accettata da Pereto e, “obtorto collo” anche da Celle.
Le controversie, tuttavia, non cessarono e dopo quasi duecento annii Carsolani, così chiamati dal 31 gennaio 1608 quando il Re di Napoli Filippo III° d’Austria cambiò il nome di Celle in quello di Carsoli, ricorsero all’allora governatore Giovanni Agostino RESTA, che risiedeva nel loro paese.
Questi, pur volendo favorire i suoi amici carsolani, dopo aver enunciato le località di confine (colle S. Croce, fossato chiavica, fossato scatrafossi, valle Tessani, strada Celle-Pereto, colle delle Sodine, colle del Peschieto) non potette che confermare la proprietà di Pereto, aggiungendo, però, che, limitatamente al diritto di pascolo, la zona compresa fra le suddette località fosse promiscua; “…quae omnia confinia recogniti fuerunt et enunciati in dicta sententia et totum
sopradictum situm spectare ad Universitatem Piretum promiscuitate juris pascendi utrique universitati…”.
Il 14 luglio 1701 la Corte della Vicaria di Napoli, alla quale aveva fatto ricorso Carsoli ribadì che la montagna Fontecellese era di proprietà del comune .di Pereto e che quindi i Peretani fossero mantenuti nel possesso pacifico
e legittimo nel quale erano.
Quando, in esecuzione della legge 1 settembre 1806, fu istituita la commissione per la divisione dei demani ex-feudali e per la risoluzione delle liti tra baroni e Comuni, Carsoli intraprese di nuovo le vie legali, con la speranza di vedersi assegnare la montagna denominata i Quattro Quarti di Pereto (ossia Fontecellese e Fonte Trinità).
Ma la commissione con due sentenze infranse la sua testardaggine stabilendo nella prima che “…la montagna denominata i Quattro Quarti di Pereto in tutta la sua estensione resta dichiarata proprietà libera ed assoluta del comune di Pereto” e nella seconda che “…la richiesta del comune di Carsoli è respinta in quanto sulla proprietà della montagna, denominata Fontecellese questa commissione si è già pronunciata con sentenza numero 128 del 27 agosto 1810 riguardante la lite tra l’ex-feudatario Colonna ed il comune di Pereto”.
Ma non c’è sordo peggiore di chi non vuol sentire e, nonostante che la zona fosse prevalentemente intestata ai peretani, che le spese di riparazione della fonte fossero state sostenute da Pereto, che per abbeverare le bestie si dovesse chiedere l’autorizzazione al comune di Pereto, che rilasciava anche i permessi di fida e di pascolo, i Villaroli continuarono a rubare legna, pascoli ed acqua.
Lo stesso Pretore di Carsoli condannò più volte gli abitanti di Villa Romana per furto.
Il 3 agosto 1924 il comune di Carsoli tornò di nuovo alla carica convenendo innanzi al tribunale di Avezzano il comune di Pereto e chiedendo che Fontecellese fosse riconosciuta di sua esclusiva proprietà.
Nel 1925 la competenza a decidere la causa civile passò al Regio Commissario Regionale per la liquidazione degli Usi Civici degli Abruzzi.
Quel magistrato, esaminati i ricorsi e le controdeduzioni, delle parti, nominati i periti, eseguiti i rilievi sulla zona in contestazione, con sentenza 4 gennaio/ 1 febbraio 1934, dichiarò che “il confine fra i demani del comune di Carsoli e quelli del comune di Pereto è quello che segue la linea che partendo dal trifinio
Pereto-Carsoli-Tagliacozzo (a quota 1670 in località Piccionara) segue lo scrimone dei monti passando per le quote 1613, 1662, 1620, 1565, 1536, passa per colle Iannelli (quota 1100), colle S. Croce ai quota 920, seguendo da ultimo il fossato Chiavica fino alla confluenza del fossato Scatrafossi.
Dichiara, di conseguenza,  tutta la zona a sud della predetta linea di libera ed assoluta spettanza del comune di Pereto, disponendo lungo detta linea, l’apposizione dei termini lapidei e condannando il comune di Carsoli alle spese”.
Contro questa sentenza Carsoli propose appello il 14 marzo 1934 ma la Regia Corte di Appello respinse il ricorso confermando in ogni sua parte la sentenza del Regio Commissario.
Più accanito che mai, in preda ad uno sciocco orgoglio, lasciandosi coinvolgere dalle sollecitazioni di un manipolo di ignoranti e presuntuosi Villaroli, il comune di Carsoli non volle accettare nemmeno questa sentenza di secondo grado e ricorse alla Corte Suprema di Cassazione.
Ma questa, esaminati i fatti ed i documenti, non dovette fare molta fatica a dare definitiva ragione al comune di Pereto e con sentenza del 12/21 luglio 1936 respinse il ricorso del Comune di Carsoli e lo condannò alle spese processuali.
Le operazioni per l’apposizione di termini lapìdei, iniziarono il 23 ottobre 1938 e furono ultimate il 9 novembre 1938.
I termini furono di forma tronco-conica con cuffia, lavorati a puntillo, del diametro di m. 0,50 alla base e m. 0,30 alla testata, con zoccolatura a prisma quadrato di m. 0,60 per 0,60 ed altezza di m. 0,35, del peso complessivo di Kg. 340. Ciascun termine fu trainato da tre paia di buoi aggiogati e da una squadra di sei operai per la guida e la sicurezza.
Furono impiegati complessivamente settantotto cittadini di Pereto per 108 giornate-uomo a lire 25 a persona per ogni giornata di lavoro.
Furono murati nove termini lapidèi nei punti fissati dalla sentenza del Regio Commissario più altri otto termini nei punti intermedi.
I primi furono tinteggiati a fasce circolari di color bianco e nero in senso orizzontale; mentre i secondi otto in colore bianco e nero in senso verticale.

B – PERETO – ROCCA DI BOTTE – ORICOLA
A seguito delle leggi eversive della feudalità, quando il decreto 8 agosto 1806 ripartì il Regno di Napoli in province, distretti, circondari e comuni, i paesi di Rocca di Botte ed Oricola furono resi e dichiarati frazioni del comune centrale di Pereto.
Tale disposizione venne successivamente recepita nella legge 4 maggio 1811 ma non convinse i cittadini dei vari paesetti che, eredi dello spirito d’indipendenza e di libertà degli antenati Equi, iniziarono ad avanzare una lunga serie di richieste d’autonomia.
Il 18 Novembre 1815 e 18 dicembre 1820 ci provò Pereto, nel 1816 e nel 1820 si fece avanti Oricola ed il 6 dicembre 1820 tentò ancora Rocca di Botte.
Niente da fare; si dovette attendere la legge 26 dicembre 1907 nr. 608 per riottenere l’antica indipendenza.
Non furono pochi e nemmeno facili i problemi che i Commissari dovettero risolvere.
Essi attenevano:

  1. all’accollo del debiti contratti con la Cassa Depositi e prestiti per la costruzione dei cimiteri e delle strade di collegamento dei tre paesi tra loro e con la provinciale carseolana-albense;
  2. alla ripartizione dei residui attivi (crediti, tassa fuocatico, tassa bestiame, corrispettivo di pascolo, tassa di esercizio e di rivendita, dazio di consumo, sovraimposta comunale…) e dei residui passivi (spese di spedalità, rimborsi di fondiaria di terreni espropriati, pigioni, stipendi, salari e paghe al personale, spese di riparazione e manutenzione di mobili ed immobili comunali o pubblici, imposte, tasse e contributi);
  3. alla spartizione di mobili ed arredi (biblioteca, archivio, mobili ed arredi della casa comunale);
  4. alla delimitazione dei confini dei territori che dovevano costituire il patrimonio pubblico e di giurisdizione dei tre paesi.

I primi tre problemi furono affrontati, esaminati e risolti dal Commissario Dr. Samuele Pugliese.
La risoluzione del quarto fu affidato al Commissario Ing. Torchi Lodovico.
Le maggiori difficoltà vennero non dal riconoscimento e  dalla materializzazione sul terreno dei vari punti di confine, ma dalla irritante diffidenza dei rappresentanti
di Rocca di Botte.
Questi controvertirono in molte occasioni ma qui si riportano solo le due principali.
Innanzitutto pretesero che la regione denominata Colli Franchi fosse divisa per metà tra Pereto e Rocca di Botte.
Il Commissario allora dovette esperire molte ricerche nell’archivio dell’Aquila e chiedere informazioni anche nell’archivio di Stato di Napoli.
Poichè sulla base dei documenti rinvenuti e delle testimonianze raccolte la zona dei Colli Franchi risultò tutta di proprietà di Pereto, il 29 ottobre 1908, i rappresentanti dei vari comuni, dopo accesi dibattiti, si accordarono sulla linea costituita dai punti 59-60-61 e 10 segnati dove e come si dirà in seguito.
Rocca di Botte, pur firmando il verbale, si riservò il diritto di reclamare qualora si fossero rinvenuti o rintracciati dei documenti ad essa più favorevoli.
La seconda controversia riguardò la linea di confine che va dal punto nr. 50, che si trova all’angolo sud-est interno della chiesa della Madonna dei Bisognosi, al punto nr. 59 già fissato ai piedi del monte Serrasecca.
I Roccatani non vollero riconoscere la pietra posta al nr. 50 che già da molti secoli segnava il confine tra Pereto e Rocca di Botte e che lasciava la chiesa ed il convento della Madonna dei Bisognosi completamente nel territorio di Pereto, come d’altronde vuole la storia e la tradizione, affermando che anche colà si dovesse seguire la linea di displuvio.
Il Commissario, lasciando le parti libere di ricorrere al Consiglio di Stato qualora l’avessero successivamente ritenuto conforme ai loro interessi, con coscienza e
scienza stabilì che il confine andasse dal punto nr. 1 posto a Serra Secca progressivamente fino al nr. 50 (colonnetta posta all’angolo sud-est interno della chiesa di S. Maria dei Bisognosi), punti e numeri segnati in minio, quindi al nr. 50 bis (corrispondente al punto di separazione a sud tra la chiesa ed il convento), non segnato col minio, e successivamente ai punti segnati con i numeri 57- 58 -59 -60 -61 -62, e 10 (triplice confine intercomunale).
La linea retta che andava dal punto nr. 57 al 10 fu dal Commissario spezzata con il punto nr. 62, che diventò poi colonnetta sulla località Colonnella, sul colmo di un
colle equidistante dei due estremi 62 e 10 (invisibili fra loro), su un terreno che catastalmente è di Pereto.
In definitiva quindi le rimostranze e le richieste dei Roccatani non vennero accolte e la chiesa ed il convento della Madonna dei Bisognosi continua a rimanere completamente nel territorio di Pereto.
Il 2 novembre 1908 si riunirono i rappresentanti dei tre comuni che, sotto la direzione del Commissario prefettizio Dr. Lodovico Torchi, compilarono un verbale per far risultare e consacrare per iscritto quanto avevano stabilito, in accordo o in discrepanza, sul terreno montano ed in pianura, in ordine alla
determinazione dei punti e linee di confine dei territori di Pereto, Rocca di Botte ed Oricola.
In esso, tralasciando quanto detto in precedenza, venne scritto quanto appresso riportato:
“la confinazione del territori o tra Pereto ed Oricola procede nel massimo accordo, ed i confini consistono in una linea che è designata dai seguenti punti:

  • il punto numero 1 è segnato in minio su un palo della staccionata esistente nel fondo Colfarolo di proprietà Vicario e precisamente nella località ove incomincia il confine del territorio di Carsoli e Pereto;
  • il punto numero 2 si trova segnato su una pietra piramidale posta nella proprietà dell’arciprete di Oricola a circa 350 metri dal punto nr. 1 in direzione sud, in corrispondenza di una stradina interpoderale.
    (La mappa catastale riporta il punto di confine 60 metri più avanti nella stessa direzione, con la conseguenza di lasciare circa novemila metri quadrati nel territorio di Oricola);
  • il punto numero 3 si trova nello stesso terreno dell’arciprete di Oricola su una pietra prismatica a sezione rettangolare, distante circa 300 metri dal punto nr. 2 con direzione verso ovest (stando alla mappa casastale, ora la distanza è di 264 metri dal precedente punto catastale);
  • il punto nr. 4. si trova nel terreno di Francesco Giustini e fratelli, su di una pietra a prisma triangolare, segnata in minio, distante circa 150 metri (in realtà 180) dal punto nr. 3 con direzione verso Sud;
  • il punto numero 5 si trova sul ciglio della scarpata destra della strada comunale che va verso Pereto, ad una distanza di circa 300 metri (in realtà 260) dal punto numero 4 con direzione sud-est. Tale termine è fissato in modo da trovarsi sulla metà della linea congiungente due pali telegrafici segnati con una croce in minio nelle facce interne;
  • Il punto numero 6 si trova su una colonnetta obliqua sita nella mulattiera che dall’Immagine va al ponte Riodentro, ad una distanza di circa 500 metri (in realtà 540) dal punto nr. 5 con direzione sud-est; il punto nr. 7 si trova nel fondo degli eredi Maccafani, in contrada Salone (o valle Giusta), su una colonnetta rovesciata, ad una distanza di circa 200 metri (in realtà 220) dal punto nr. 6 con direzione sud-est;
  • il punto nr. 8 si trova sul terreno di Francesco Sciò fu Giuseppe, su di una colonnetta con croce, ad una distanza di metri 500 (in realtà 340) dal punto nr. 7 con direzione sud-est inclinando verso ovest;
  • il punto numero 9 si trova su una pietra smussata a prisma rettangolare, nella proprietà degli eredi Sebastiani di Riofreddo, ad una distanza di circa m. 400 (in realtà 360) dal punto nr. 8 con direzione sud-est inclinando verso ovest;
  • Il punto nr. 10 si trova nella contrada Cerreta, su un terreno di proprietà Vicario, ad una distanza di circa 280 metri dal punto nr. 9 continuando ad inclinare ad
    ovest. Questo punto è trivertice perchè divide il territorio di Oricola da quello di Pereto e da quello di Rocca di Botte”;
  • il punto nr. 62 si trova in contrada Vagliarini, località Colonnella, sul territorio di Pereto, su un colle equidistante dai punti 61 e 10;
  • il punto nr. 61 si trova in località noce Palombo alle Pratarelle in direzione sud-est ad una distanza di 550 metri dal punto nr. 10, nel terreno di Ventura
    Giuseppe;
  • il punto nr. 60 si trova in località Colle Amaro in direzione sud-est ad una distanza di 560 metri dal punto nr. 61;
  • il punto nr. 59 si trova in località Costafredda, su un terreno di Pasquale Balla in direzione sud-est, ad una distanza di 560 metri dal punto nr. 60.

C – PERETO – CAPPADOCIA
Sui confini fra Pereto e Cappadocia sembra che non vi siano mai state contestazioni legali, ma non per questo c’è chiarezza e manca un definitivo assetto ed accordo sulla linea di demarcazione dei rispettivi demani.
Stando alla carta di B. De Amicis del 1517, la linea di confine fra i due comuni è quella che da cima Vallevona (q.1818) scende in località “Inghère di Campolungo”  (q.1334) e poi risale in linea retta a Cacume (q.1662).
Tale linea è quella che verrebbe adottata applicando il principio generale secondo il quale quando mancano elementi naturali (linee di displuvio, linea di impluvio, fiumi, canali…) il confine è costituito dalla linea più breve congiungente le quote più elevate.
E che Cacume sia il punto ideale di confine lo dimostra anche il fatto che esso è perfettamente equidistante dai due comuni, 9 Km. in linea d’aria.
Ed il confine così stabilito è ancora più favorevole a Cappadocia se si considera che essa, nel momento in cui per la prima volta ci fu la distribuzione dei demani montani ai cittadini da parte dei Re di Napoli Alfonso I° e Ferdinando I°, aveva solamente 250 abitanti contro gli 830 di Pereto.
Una ricognizione, avvenuta nel mese di luglio del 1951, individuò solo due dei tre punti di confine: quello di Cacume, che fu visto in località Selvapiana a quota 1657, e quello di “Inghère di Campolungo” a quota 1334.
Il terzo andarono a cercarlo alla “Torretta” (q. 1792) anzichè a Cima Vallevona (q. 1818, circa un chilometro e settecento metri più ad Est) con il risultato di non
trovarlo.
I termini individuati vennero così descritti:
il primo è costituito da una roccia viva, profondamente infissa al suolo, con impressi a scalpello l’inizio degli allineamenti di confine e le lettere P (Pereto), T
(Tagliacozzo), C (Cappadocia).
Il segnale trifinio assume la forma di una Y molto divaricata i cui segmenti indicano la direzione di M. Midia e di Cima Vallevona.
Le scalpellature sono ripassate in minio. Il secondo termine è costituito da due distinti segnali, distanti m. 3 l’uno dall’altro ed entrambi ad una distanza verso est di circa 450 metri dalla fonte Marmorata.
L’uno è contrassegnato con segno di minio su di una pietra naturale; l’altro da una grossa croce segnata sul tronco scortecciato di un faggio dell’apparente età di 55 anni.
Il terzo termine dovrebbe trovarsi a Cima Vallevona e dovrebbe essere costituito da una pietra naturale recante impresso a scalpello una croce con le lettere P (Pereto), C (Cappadocia), C(Camerata); non R (Rocca di Botte) che confina con Camerata lungo lo spartiacque del M. Serrasecca a circa 250 metri più ad est della “Torretta”.
In definitiva quindi la linea di confine è stata, è, e spero che rimarrà quella designata nella carta planimetrica redatta dall’uditore del ducato di Tagliacozzo nel 1517, Bernardino De Amicis.

D – PERETO – TAGLIACOZZO

Il confine tra Pereto e Tagliacozzo è tuttora in contestazione legale.
Esso, in base alla carta del 1517 (più volte citata), inizia dal trifinio posto a q. 1657 (diventata dopo più precise misure q. 1662) in località Cacume di Selvapiana ed in linea retta, per i motivi esposti nel paragrafo precedente, scende nella vallata di Acquaramata (q.1409), toccandone la fonte, e poi risale ala quota 1737 di monte Midia.
Da questo punto trigonometrico, seguendo lo spartiacque e lambendo le quote 1662, 1673, 1590, raggiunge quota 1641, dove esiste il trifinio Pereto-Rocca di Cerro (Tagliacozzo) -Colli (Carsoli).
Il comune di Tagliacozzo contesta una parte della linea di confine stabilita nel 1517 affermando in sostanza che essa, tra cima Vallevona e monte Midia, non unisce in linea retta, “tout court”, le cime più alte.
Il comune di Pereto controdeduce che il confine nella zona contestata non può essere costituito dalla linea più breve che unisce le citate cime perchè tra esse non vi è una sola valle bensì due.
Di conseguenza occorre fare almeno due operazioni individuando innanzitutto le quote più alte ai lati della prima valle (Campolungo), poi quelle più alte ai fianchi della seconda valle (Acquaramata) e, quindi, unendole con la linea più corta e dritta.
Queste semplici operazioni furono fatte già quattro secoli e mezzo fa, ma per colpa della “Coccia”, “ci sta ancora chi on ce ‘o sta”